Airbnb, VRBO e tutti gli altri

A sentire le associazioni degli albergatori, servizi come Airbnb hanno determinato la crisi del settore più ancora che la recessione economica post-Lehman Brothers.

Con tutta la comprensione per una concorrenza nei confronti degli hotel che si è fatta spietata anno dopo anno, c’è da dire che la novità rappresentata da servizi di condivisione delle proprie case, perché si tratta di questo in soldoni, ha anche portato una ventata d’aria fresca nel comparto dell’ospitalità. Questo perché ha costretto grandi e meno grandi fra le catene del mondo a confrontarsi con l’idea filosofica alla base della nascita di servizi come Airbnb: ovvero, che chi viaggia vuole comodità, servizi di alto livello, pulizia ma anche il tocco umano, che è proprio quello che la start-up nata a San Francisco propone con forza fin dalla sua fondazione.

Condividere la casa di un privato, o addirittura sostituirsi a lui mentre è altrove per soggiornare come un abitante del luogo in città in giro per il mondo costituisce un’esperienza autentica, intima, capace di far crescere rapporti umani e non solo basati sullo scambio bene-denaro.

Passata la demonizzazione di Airbnb (ma esistono vari servizi analoghi come VRBO o HomeAway), chi ha saputo capire questa lezione ha anche saputo adeguarsi al contesto cambiato, e i suoi affari se ne sono avvantaggiati: via le stanze tutte uguali, sì al tocco personalizzato, al complemento d’arredo studiato su misura, alle mostre nelle stanze d’albergo. Piccoli gesti che non hanno una grossa incidenza sul budget della struttura, ma possono fare la differenza per il cliente che si sente più apprezzato.

Diversamente, arroccandosi dietro a un nome di grido o a una tradizione di decine di anni, si rischia l’estinzione: ne sa qualcosa il Waldorf Astoria, il celebre hotel newyorkese che ha cessato le proprie operazioni nel 2017. Riaprirà? Così è previsto. Ma non è sicuro.

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