Nel mondo di Airbnb non è tutto oro quello che luccica. L’idea di Gebbia e Chesky è un uovo di Colombo, ma non tutti ne sono contenti (e non si parla solo di colleghi albergatori).
Come in altri casi di startup di successo, come Kickstarter o Ebay, non mancano infatti casi di truffe: appartamenti inesistenti, molto più squallidi di come descritto o affittuari che si eclissano.
Ma più che altro, uno dei problemi generati dalla rivoluzione Airbnb è l’aumento dei prezzi delle case nelle città che attirano più turisti. Quando i proprietari di immobili, infatti, capiscono che i loro investimenti rendono di più se affittati a turisti piuttosto che a un unico inquilino spalmato nell’arco di più anni di contratto, scaricano il secondo a favore dei primi.
E così il mercato immobiliare si imbizzarrisce, portando a prezzi pompati perché le case disponibili per dei tradizionali affitti o compravendita diventano sempre meno.
Per questo sono sempre di più le città che cominciano a rifiutare il modello Airbnb, come ad esempio Barcellona, Tokyo o la stessa San Francisco – dove il fenomeno prese il via. La soluzione: mettere dei tetti al numero di appartamenti disponibili sul portale. Ma c’è chi borbotta, in nome del libero mercato.